acchhiapparelle..., i quattro cantoni, - GIOCO POPOLARE

bambini che giocano con la corda
Il gioco popolare
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acchhiapparelle..., i quattro cantoni,

giochi senza oggetto
Vola Vol a Pignola (PZ)
da https://www.prolocoilportale.it/index.php/pignola/i-giochi-di-un-tempo/19-vola-vol

Gioco per più persone.
Materiale occorrente: nessuno.
Spiegazione: tutti i giocatori poggiano il dito sul ginocchio di chi comanda il gioco, il quale consiste nell’indovinare le cose che vanno e no. Es. il capogioco dice: vola vol l’aereo, i concorrenti dovevano alzare il dito, chi è preso alla sprovvista paga il pegno.
Da Vesuvioweb Magazine di Cultura Vesuviana

“I Quattro Cantoni” Di Silvio Falato a GUARDIA SANFRAMONDI (BN),

Il mese di Febbraio e il Gioco de’ “I Quattro Cantoni” Siamo ancora nel pieno dell’inverno, quindi anche nelle giornate serene letemperature basse consigliano di starsene al coperto, nei portoni dei grandi palazzi.
Qui c’era sempre la possibilità di ricavarsi uno spazio regolare, simile al quadrato o al rettangolo di una normale stanza, e in questo spazio si organizzava il gioco dei “Quattro Cantoni”. Il termine “Cantone”, accrescitivo del latino “canthus” = punta, parte, porzione, vale qui “angolo”; quindi il gioco prende il nome dai quattro angoli, simili a quelli che in una stanza racchiudono la superficie della sua forma quadrata o rettangolare.
I ragazzi partecipanti al gioco di solito sono 5: quattro di essi occupano ciascuno un angolo dello spazio, il quinto, designato dalla sorte mediante il solito “tocco”, si piazzerà al centro della superficie. A suo piacimento, ciascuna delle due coppie che occupano gli angoli, a un cenno convenuto, potrà scambiarsi il posto, correndo molto velocemente lungo la diagonale o uno dei quattro lati della stanza.
Nel frattempo il quinto ragazzo che sta al centro potrà, se avrà l’intuito di prevedere lo scambio e nello stesso tempo la velocità necessaria, giocare di anticipo sull’uno o sull’altro concorrente che si sta spostando, ed andare ad occupare il posto rimasto momentaneamente vuoto. Chi in ultimo si troverà senza posto, perché tutti occupati, finirà in quello centrale.
Come si vede, ci vuole molta abilità e prontezza di riflessi, e in verità ce la mettevamo tutta per stare il più possibile lontani dal posto centrale: era questo il posto della vergogna e alla fine di ogni tappa del gioco era sempre oggetto di scherno con la seguente cantilena:
Ciammareqwòne, cjammarreqwòne,  =  Lumacone lumacone,
kòme se mùsce e qwaqwaccjòne! = come sei lento e zoticone!


Di Silvio Falato
“Papà Ggǝlòrmǝ” = Papà Gerolamo

“Papà Ggǝlòrmǝ” = “Papà Gerolamo”, è un gioco di gruppo, molto movimentato, che di solito si faceva all’aperto nelle giornate serene del mese di Marzo.
Il numero dei partecipanti si aggirava intorno alla decina ed era così chiamato, perché il primo attore, conduttore del gioco, svolgeva le funzioni di papà, di capofamiglia.
Prima di tutto si delineava il campo, denominato “tana”, scegliendolo in un’area ampia e libera, possibilmente pianeggiante. Poi si procedeva al solito “tocco” o conta e il designato dalla sorte, da questo momento “papà”, si impossessava della tana, consapevole però del fatto che era un padre “zoppo”, nel senso che, finché stava
nel chiuso della tana, poteva fare uso di entrambi i piedi, mentre, appena usciva dalla stessa, doveva camminare appoggiandosi su un solo piede; se per un motivo qualsiasi metteva a terra anche quello che doveva tenere alzato, diventava bersaglio di percosse alla schiena da parte dei compagni.
La tana apparteneva solo al papà e a quelli, che, come vedremo, diventeranno suoi figli ed era interdetta a tutti gli altri, che stavano sempre sparpagliati fuori, ai limiti della stessa.
Entrato nelle sue funzioni, il papà gridava: “Escǝ papà Ggǝlòrmǝ da fòrǝ a la tàna”. Quindi, tenendo un piede ben sollevato da terra e facendo leva solo sull’altro, faceva la prima uscita, cercando di toccare qualcuno dei compagni, che gli
saltellavano intorno, beffeggiandolo e stando attenti a non essere toccati; infatti era regola che il toccato diventava immediatamente “figlio” del padre zoppo e, siccome in quel momento stava con entrambi i piedi a terra, doveva correre verso la tana, per mettersi al sicuro, insieme al padre, che, per fare presto, usava questa volta entrambe le gambe.
Una volta dentro, il papà continuava il gioco, annunciando di nuovo l’uscita; ma questa volta poteva gridare sia “Escǝ papà Ggǝlòrmǝ da forǝ a la tàna” sia “Escǝ papà Ggǝlormǝ ku rǝ prìmǝ figljǝ” o addirittura “Escǝ rǝ prìmǝ fìgljǝ dǝ papà
Ggelòrmǝ”. In ogni caso padre e figlio dovevano stare attenti a “toccare”, a fare prigionieri, sempre tenendo un piede sollevato; se uno dei due, per un accidente qualsiasi non lo faceva, entrambi diventavano bersaglio di percosse fino a che non si rifugiavano nella tana.
Le uscite si moltiplicavano e facilmente si facevano nuovi prigionieri. Il papà dava ordini di uscita ora solo per lui, ora con l’uno, l’altro o più figli; ma spesso preferiva sguinzagliare tutta la prole e allora gridava: “Escǝ papà Ggǝlòrmǝ ku tùtta
la Sàkra Famìglja” ed era un bello spettacolo veder saltellare sette o otto finti zoppi, che rincorrevano i pochi compagni che erano rimasti superstiti.
Il gioco terminava quando non c’erano più prigionieri da riportare nella tana.
giocopopolare@libero.it
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