La sciumbarèddha, trombetta con le foglie
giochi con la natura
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La sciumbarèddha
Giochi di bimbi salentini… altro che la vuvuzela di recente memoria!
Pubblicato il da fondazioneterradotranto
di Armando Polito
Era una specie di zufoletto che i ragazzi di un tempo si costruivano con lo stelo cavo di specie vegetali selvatiche; ma i risultati musicalmente più spettacolari venivano raggiunti, a patto che avesse un fiato allenato da lunga pratica, da chi utilizzava una foglia di cipuddhàzzu (Scilla maritima) opportunamente arrotolata; altro che la vuvuzela di recente memoria!
Non perdo tempo a sputare sentenze sull’opportunità di conservare anche memorie di tal fatta o a sottolineare l’ingegnosità dei ragazzi del tempo che fu: un vecchio proverbio dice che il bisogno aguzza l’ingegno, ma la mia preoccupazione aumenta sapendo che anche il cervello, come qualsiasi organo, si deteriora per il cattivo uso e si atrofizza per il non uso…e dalla sciumbarèddha ad altre realizzazioni più importanti il passo è più breve di quanto a prima vista possa sembrare.
Però, siccome al passato non so rinunciare, mi rifugio nell’etimologia. La voce non compare nel dizionario del Rohlfs, che, però, registra (pag. 155) nel Leccese per Latiano ciummarèddha e in coda allo stesso lemma, sempre per il Leccese, ciumbarèddha per Gallipoli e per il Brindisino la variante di Mesagne ciamarèddha, senza rinvii e senza etimologia. Chiunque, però, sarebbe colto quanto meno dal sospetto che le tre voci siano diminutive; infatti, scorrendo nella stessa pagina, s’incontra per il Tarantino a Manduria e per il Brindisino a Brindisi ciumàra, con rinvio a ciumbarèddha; siccome la variante ciamarèddha, poi, mi appare diminutivo di ciamàra, a pag. 145 incontro il lemma ciamàrra per il Tarantino a Grottaglie e, in coda a questo, per il Brindisino ciamàra a Mesàgne, ciamàrra a Ceglie Messapico e cimàra a Erchie, per il Leccese cicimàrra a Parabita; alla fine del lemma c’è un rinvio a ciumarrrèddha (da leggersi, evidentemente ciummarrèddha). Di etimologia, ancora, nemmeno l’ombra. Ma nel terzo volume (pag. 921) al lemma ciamàrra registrato per il Leccese a Cutrofiano e a Tricase, dopo le varianti, sempre per il Leccese, ciummàrra a Castro e cimmàrra a Ruffano, per il Brindisino ciamàra (già vista per Mesagne) ad Oria, cimàra (già vista per Erchie) a Francavilla Fontana e a S. Vito dei Normanni, si invita ad un confronto con il calabrese e siciliano zammàra, dall’arabo zammara. Dopo questo cammino così tortuoso saremmo arrivati alla meta. Ma è veramente così? E se, invece, tutte le voci avessero la stessa etimologia dell’italiano ciaramella o caramella o cennamella [dal francese antico chalemelle (con dissimilazione –l->-r-), dal latino tardo calamèllu(m), diminutivo del classico càlamus=canna, dal greco càlamos con lo stesso significato]?; in particolare, la voce brindisina ciamarèdda potrebbe derivare da ciaramella [per metatesi –ram->-mar– (ciaramella>*ciamarèlla> ciamarèdda)] ed aver dato vita alla leccese ciumbarèddha (attraverso i passaggi ciamarèdda> *ciammarèddha> *ciambarèddha> ciumbarèddha, in cui –u– dovrebbe essere il frutto di un incrocio di non facile identificazione, problema che, però, pone anche la derivazione dall’arabo), dalla quale, per passaggio c->g– (ciumbarèddha>* giumbarèddha) (avvenuto nella voce tarantina giammàrra) sarebbe derivata, per ulteriore normale passaggio gi->sc– (come in gibbum>sciùmbu=gobba), la neritina sciumbarèddha.
A questo punto qualche lettore che ha avuto fin qui interesse e pazienza a seguirmi starà già rimpiangendo la mia nostalgica e passatista predica di cui parlavo all’inizio…
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